Non esiste una via o una maniera predefinita,quello che è importante, è la sua cvonservazione che deve avvenire riponendo il prodotto in frigorifero a temperatura compresa tra 2 e 6°C. Una volta tolta dall’involucro del sottovuoto Sarebbe bene consumarla entro una settimana. Se invece viene mantenuta e conservata in frigo sottovuoto dura molto di più, fino a 45 giorni .Nella iconografia della tradizione romana di solito viene servita a fette più o meno sottili all’interno di una “ciriola” il classico pane bianco Romano,oppure come secondo piatto, tagliata a fette o cubetti e servita fredda. Di solito si accompagna bene con verdure grigliate e non e si presta anche per essere consumata riscaldata in forno a 140 °.
Nell’Impero romano si produceva e consumava moltissima carne di maiale. A testimonianza di ciò sono rimasti trattati, ricette, rappresentazioni e persino una curiosa filastrocca, che veniva recitata dagli alunni tra grandi risate. Si tratta del “Testamentum porcelli” (letteralmente “Testamento del porcello”), in cui Grunnio Corocotta, maiale da ingrasso sul punto di essere cucinato, detta le sue ultime volontà. Lo sventurato suino chiede che le sue carni siano condite degnamente con mandorle, pepe e miele, in modo da essere ricordate in eterno. Decide inoltre di donare ogni parte del suo corpo ed i suoi beni a parenti e persone diverse: ai sordi le orecchie, alle donne i lombi, ai calzolai le setole, ai bambini la vescica, ai chiacchieroni la lingua… Il tutto si conclude con le firme ironiche di personaggi come Lardone, Bisteccone, Prosciutto e Salsiccio. Questo testo umoristico, risalente forse al IV secolo d.C., testimonia le antiche radici del famoso detto popolare “del maiale non si butta via niente
Come di consueto ogni anno durante la prima settimana di settembre si tiene sulla storica piazza di corte l’evento più atteso dagli estimatori della porchetta. I produttori della “Porchetta di Ariccia” IGP hanno mantenuto invariata negli anni la tradizione artigiana della preparazione della porchetta, tramandando di generazione in generazione l’arte di condire, aromatizzare, legare e predisporre la porchetta alla cottura al forno.
La reputazione contemporanea della “Porchetta” in special modo quella Ariccina, risale al 1950 quando i porchettari di Ariccia allestirono la prima “Sagra della Porchetta di Ariccia”, con lo scopo di celebrare questo prodotto tanto gustoso quanto all’epoca già noto. Da allora ogni anno ad Ariccia si svolge questa manifestazione suggestiva e caratteristica dove viene offerta la porchetta su banchi addobbati a festa da venditori vestiti con gli abiti tradizionali ariccini. Testimonianza di ciò è l’“Estratto dal Registro degli atti della Giunta Comunale, del 14 settembre 1962, relativo al contributo per la festa della Patrona S. Apollonia e della Sagra della Porchetta”, trovato negli archivi del Comune di Ariccia a dimostrazione dell’importanza pluridecennale che la Porchetta di Ariccia I.G.P. ha nelle tradizioni popolari locali.A proposito della sagra, Vincenzo Misserville, nel 1958, nella rivista “I castelli Romani – Vicende, Uomini, Folclore” scrive: “Tra le numerose sagre dei Castelli Romani, quella ariccina “della Porchetta e del Pane casareccio” è forse l’unica che, per il suo carattere di semplicità paesana, giustifica il suo appellativo: persino nella denominazione essa ha un sapore schiettamente casalingo”.Nel 1974, Giulio Cesare Gerlini, nel libro “Ariccia Storia-Arte-Folclore”, scrive, a proposito della Porchetta di Ariccia, che: “l’arte di preparare i porcellini destinati a diventare“porchetta”, si può dire che è una esclusività di poche famiglie ariccine i cui componenti si tramandano di padre in figlio.”Nel 1957, lo scrittore Carlo Emilio Gadda, nel suo romanzo “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, riporta una puntuale descrizione di come veniva venduta la porchetta di Ariccia a Roma e illustra chiaramente la già nota reputazione del prodotto. Un venditore di porchetta, infatti, esclama: “La porca, la porca! Ciavemo la porchetta signori! La bella porca de l’Ariccia co un bosco de rosmarino in de la panza! Co le patatine de staggione!…Carne fina e delicata, pe li signori proprio! Assaggiatela e proverete, v’oo dico io, sore spose: carne fina e saporita!… Porchetta arrosto cor rosmarino! e co le patate de stagione…”
Molti ci chiedono quali sono le differenze tra il tronchetto (trancio) di porchetta e la porchetta intera ( con e senza testa) .
Insomma Che pezzo del maiale è la porchetta? Possiamo iniziare con il dire che entrambe appartengono e sono classificati come “porchetta di Ariccia”. Il tronchetto sostanzialmente viene prodotto con l’identico metodo della porchetta IGP, gli aromi sono gli stessi, la cottura anche. Insomma non cambia nulla fatta eccezione per il taglio della carne utilizzato. Nella porchetta intera come suggerisce il nome, tutto il capo suino preventivamente disossato , inclusa testa, spalla e coscio, al termine della aromatizzazione e/o speziatura una volta cotto compone il prodotto finale. Quindi in cosa differisce il trancio? Innanzitutto la forma, che sostanzialmente e’ cilindrica. poi l’altra differenza sta nel fatto che il tronchetto o trancio di porchetta viene prodotto partendo da selezioni longitudinale della porzione centrale del capo suino. Insomma sono utilizzate le parti piu’ pregiate quali il lombo o arista, e la parte della pancetta. da questo deriva certamente un sapore piu’ intenso rispetto alle porzioni della porchetta intera in particolare modo rispetto alla spalla ed il coscio. I motivo? Secondo il nostro parere perche’ durante il processo di cottura i grassi contenuti in misura maggiore nella zona della pancetta, seppur fondendosi e colando nella “leccarda” vanno ad integrarsi nelle carni. Cosa che avviene in misura minore nella porchetta intera nella zona anteriore e posteriore, trattandosi queste ultime composte da parte muscolosa non hanno l’intensita’ del sapore che ha il tronchetto che insomma sostanzialmente e’ leggermente piu’ grasso.
L’italia si sa è terra di diversità culinarie e tradizioni gastronomiche e la porchetta non fa eccezione.
Esistono molte varianti regionali di questa rinomata pietanza, la porchetta Marchigiana, quella Emiliana e propriamente di Bologna, quella Umbra, quella Abruzzese, quella Toscana, quella del Lazio e alto Lazio, il famoso porceddu Sardo. Pertanto molti ne rivendicano la paternità e l’origine, nonchè rivendicano la ricetta originale. L’origine, andando a ritroso nel tempo come ampliamente spiegato in questo articolo sembra risalire and antichi rituali di epoca Romana, ma nel corso dei secoli si sono susseguite numerose varianti e zone di produzione sul territorio della penisola. Un Umbria si dice sia nata a Norcia famosa per la sua tradizione della lavorazione delle carni suine. In Abruzzo si celebra quella di Campli in provincia di Teramo, dove fin dal medio evo esistevano dei porchettai con una tradizione consolidata. In Emilia Romagna a Bologna si celebrava una festa in onore del suino arrostito, che si teneva il 24 di agosto, giorno di San Bartolomeo. La tradizione è stata celebrata fi dal XIII secolo.Un altro luogo di elaborazione della celebre pietanza sembra essere la Toscana meridionale, che è nota per la vastissima tradizione culinaria in ambito suino. Il centro Italia quindi sembrerebbe fare la parte maggiore, con una varietà produttiva incredibile, anche se a discapito della bonta gli ingredienti sono abbastanza comuni, sale pepe, finocchio selvatico, aglio, della porchetta propriamente detta. Come possiamo vedere leggendo di questo prodotto, molti ne affermano la ricetta e rivendicano la paternità, e ai giorni nostri con la sua ricetta semplice e bilanciata la tradizione della porchetta si mantiene a Roma e ai Castelli Romani, precisamente ad Ariccia, dove il prodotto ha conosciuto rilievo europeo e Mondiale grazie alla lungimirante scelta di renderla a Indicazione Geografica protetta.